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                     Appena la notte terminò             e il caro giorno desiderato fu giunto, mi levai subito dal   letto più             nella curiosità di sapere cosa era successo, che non perché             avessi dormito abbastanza. Dopo essermi vestito e aver sceso   come d'abitudine             la scala, era ancora troppo presto e non trovai nessuno nella   sala.             Pregai perciò il mio paggio di condurmi un po' nel castello e             di mostrarmi qualcosa d'interessante. Egli si prestò come   sempre             volentieri al mio desiderio e mi fece scendere alcuni gradini   sotto             terra, fino ad una gran porta di ferro da cui si staccava in   grandi             lettere di rame l'iscrizione seguente:  
                    
                  Io riprodussi l'iscrizione,               copiandola sulla mia tavoletta. Dopo aver aperto la porta, il   paggio             mi condusse per mano attraverso un corridoio tutto buio,   finché             arrivammo ad una piccola porta socchiusa, perché, come egli   m'informò,             era stata aperta soltanto il giorno precedente per fare uscire   le bare             e non era stata ancora richiusa. Noi entrammo; allora la cosa   più             preziosa che la natura abbia mai creata apparve al mio sguardo   meravigliato.             La sala a volta non aveva altra luce che quella data da   parecchi enormi             diamanti, e questo era, venni informato, il tesoro. Ma al   centro vidi             la meraviglia più ammirevole: era una tomba talmente preziosa             che mi stupì che non fosse custodita meglio. Il paggio mi   disse             che dovevo ringraziare il mio pianeta per l'influenza del   quale avevo             ormai visto molte cose che nessun occhio umano aveva mai   osservato oltre             alla cerchia del Re.  
                   La tomba era   triangolare             e aveva al suo centro un vaso di rame lucido; tutto il resto   non era             che oro e pietre preziose. Nel vaso stava in piedi un angelo   il quale             teneva nelle sue braccia un albero sconosciuto che   ininterrottamente             lasciava cadere delle gocce nel vaso; quando poi la frutta   cadeva nel             vaso diventava acqua e scorreva in tre piccoli vasi d'oro. Tre   animali,             un'aquila, un bue, un leone, posti su di un piedistallo   prezioso sostenevano             questo piccolo altare. 
                   
                    Io domandai al mio paggio il significato di tutto ciò. "Qui             giace", disse,"Venere,la bella dama, che ha fatto perdere             a molti grandi la fortuna e l'onore e la salute e il loro   benessere".             Detto ciò mi mostrò una porta di rame nel pavimento. "Qui",             disse, "possiamo scendere ancora se vuoi". "Io ti accompagnerò               dappertutto", risposi, e scesi la scala dove l'oscurità             era completa. Il paggio aprì subito una piccola scatola che   conteneva             una luce perpetua con la quale accese una delle molte torce,   che erano             in quel luogo. Io mi spaventai e domandai seriamente se gli   era consentito             fare questo. Mi rispose: "Siccome la persone reali ora   riposano,             non ho niente da temere". 
                     
                  Vidi allora un letto preparato in maniera ricchissima e   circondato da             tende meravigliose. Il paggio le aprì e vidi la Dama Venere   tutta             nuda - perché il paggio aveva sollevato una delle coperte -   stesa             lì con tanta grazia e bellezza che rimasi inchiodato al mio   posto             e anche adesso ignoro se ho contemplato una statua o una   morta, perché             essa era assolutamente immobile e mi era vietato di toccarla.   Poi il             paggio la coprì di nuovo e tirò la tenda; ma la sua immagine             mi restò impressa negli occhi. Dietro al letto vidi una   tavoletta             con questa iscrizione:  
                    
                    
                     
                  Domandai al             mio paggio il significato di questi caratteri; egli promise   ridendo             che l'avrei saputo. Poi spense la fiaccola e risalimmo.  
 
                  Esaminando le porte da vicino, mi accorsi solo allora che ad   ogni angolo             ardeva una luce pirica che non avevo mai visto prima, perché             il fuoco bruciava con tanto chiarore che assomigliava più ad             una pietra che ad una luce. L'albero esposto a questo calore   non cessava             di fondere tutto e di produrre sempre nuovi frutti. "Ascolta",               disse il paggio, "quello che ho sentito dire da Atlante,   parlando             al Re. Quando l'albero sarà completamente sciolto, la Dama   Venere             si sveglierà e sarà la madre di un Re".  
                   
                  Mentre diceva questo e stava forse per dire di più, il piccolo               Cupido entrò volando. Dapprima, egli fu meravigliato di   constatare             la nostra presenza, ma quando vide che eravamo più morti che             vivi, scoppiò a ridere e mi chiese quale spirito mi avesse   condotto             fin lì. Io risposi tremante che mi ero perso nel castello ed             arrivato poi per caso, e che il paggio mi aveva cercato   dappertutto             e finalmente mi aveva trovato lì; speravo infine che egli non             avrebbe preso la cosa male.  
                   
                  "E' ancora scusabile così", mi disse, "mio vecchio             padre temerario. Ma Voi avreste potuto facilmente oltraggiarmi   grossolanamente             se vi foste accorti di questa porta. E' tempo che io prenda le   mie precauzioni".             Detto ciò, mise una serratura pesante alla porta di rame per             la quale eravamo scesi prima. Io ringraziai Dio che non ci   aveva incontrati             prima e anche il mio paggio era felice poiché l'avevo aiutato.  
                   
                  "Tuttavia", disse Cupido, "non posso lasciare impunito             il fatto che stavate per sorprendere la mia cara madre". E   allora             riscaldò la punta di una delle sue frecce in una delle piccole               luci e mi colpì sulla mano. Io non sentii quasi nulla, ma ero             felice perché eravamo riusciti così bene a cavarcela con             poco. Nel frattempo i miei compagni si erano alzati dal letto e   si trovavano             nella sala. Io li raggiunsi e facevo finta di essermi appena   alzato.             Cupido che aveva ben chiuso tutte le porte dietro di lui,   venne da noi             e io dovetti mostrargli la mano. Vi era ancora una goccia di   sangue             di cui rise e prevenne gli altri dal guardarsi da me, che   sarei cambiato             di lì a poco. Tutti si meravigliarono del fatto che Cupido   fosse             così allegro; non sembrava preoccuparsi per niente dei tristi             avvenimenti di ieri e non portava alcun segno di lutto.  
                   
                  Nel frattempo, la nostra Presidentessa aveva preparato tutto   per la             partenza; essa era apparsa vestita di velluto nero e tenendo   il suo             ramo di lauro in mano; e tutte le sue vergini avevano rami di   lauro             in mano. Quando ogni cosa fu pronta, la Vergine ci disse di   dissetarci             e di prepararci per la processione. Noi non perdemmo un   istante e la             seguimmo nella corte. Sei bare erano poste in questo cortile   ed i miei             compagni erano convinti che esse rinchiudessero i corpi delle   sei persone             reali. Io però sapevo la verità; tuttavia ignoravo cosa             era avvenuto delle altre bare. 
                   
                  Vicino ad ogni cassa c'erano otto uomini mascherati. Appena la   musica             cominciò (una musica così grave e triste che mi spaventai)             questi uomini levarono le bare e a noi fu dato l'ordine di   seguirli             fin nel giardino già descritto, nel mezzo del quale era levato               un piccolo edificio di legno, il cui tetto era adornato da una   splendida             corona sostenuta da sette colonne. Dentro vi avevano scavate   sei tombe             e vicino ad ognuna c'era una pietra rotonda, vuota e più   elevata.             Si deposero le bare nelle tombe silenziosamente e con molte   cerimonie,             poi furono messe sopra le pietre e sigillate. La piccola   scatola trovò             il suo posto nel mezzo. E' così che i miei compagni furono   ingannati,             perché essi erano persuasi che i corpi riposassero lì.             In alto c'era una grande bandiera con l'immagine di una   fenice, forse             per ingannarci maggiormente. Io ringraziai Dio perché avevo   visto             più degli altri. 
                    Dopo i funerali la Vergine salì sulla pietra centrale e fece             un breve discorso. Ci disse che dovevamo attenerci alla nostra   promessa             e di non lamentarci delle nostre fatiche, ma di aiutare a   ridare la             vita alle persone reali che erano state sepolte adesso. A   questo fine             dovevamo metterci senza ritardo in viaggio e navigare con lei   verso             la Torre dell'Olimpo per cercarvi il rimedio appropriato ed   indispensabile. 
                                      Questo discorso ebbe la nostra approvazione e seguimmo dunque   la Vergine             attraverso un'altra piccola porta, fino alla riva dove si   trovavano             le sette barche descritte prima, tutte vuote. Tutte le vergini   vi attaccarono             il loro ramo di lauro e dopo averci divisi tra le sei barche,   ci lasciarono             partire nel nome di Dio e ci guardarono finché fummo in vista;               dopo si ritirarono ancora una volta nel castello con tutte le   guardie.             Le nostre imbarcazioni avevano ognuna una grande bandiera e   un'insegna             particolare. Su cinque dei vascelli si vedevano i cinque Corpora               regularia, uno diverso su ogni nave, e la mia, dove aveva   preso             posto la Vergine, portava un globo. Noi navigammo così in   ordine             stabilito, ogni vascello non contenendo più di due piloti. 
                     
                  In testa veniva il piccolo vascello A, dove, secondo me,   giaceva il             negro; portava dodici musicisti che suonavano bene; e la sua   insegna             era una piramide. Era seguita dai tre vascelli B, C, D, che   navigavano             insieme, sui quali eravamo noi. Io ero in C. Al centro   navigavano le             due barche più belle e più splendide ornate di una quantità             di rami di lauro; esse non portavano nessuno e battevano la   bandiera             della Luna e del Sole. Per ultima veniva la nave G, che recava   quaranta             vergini.  
                    
                  Dopo aver navigato             così attraverso il lago, uscimmo attraverso uno stretto   passaggio             sul mare aperto. Lì tutte le Sirene, Ninfe e dee dei mare ci             aspettavano e mandarono subito una giovane ninfa, incaricata   di farci             avere il loro dono di nozze e il loro ricordo. Quest'ultimo   consisteva             di una grande, magnifica perla montata, come non ne è mai   stata             vista né nel nostro né nel nuovo mondo; essa era rotonda             e brillante. 
                                      Quando la Vergine l'ebbe accettata amichevolmente, la ninfa   domandò             se si voleva dare ascolto alle sue compagne, fermandoci lì un             istante; la Vergine vi acconsentì. Diede l'ordine di mettere             in mezzo le due grandi navi e di formare con le altre un   pentagono;             poi le ninfe si schierarono intorno e cantarono con una dolce   voce:  
                    
                   
                    Non c'è   niente di meglio sulla terra  
Che il bello e nobile amore.  
Per mezzo di lui, noi eguagliamo Dio,  
Con lui nessuno affligge gli altri.  
Perciò cantiamo al Re  
Facciamo risuonare il mare  
Noi chiediamo, rispondete voi.  
                  II  
                  Chi   ci ha             portato la vita?  
                    L'amore.  
                    Chi ci ha reso la grazia? 
                    L'amore.  
                    Da dove siamo nati?  
                    Dall'amore.  
                    Come saremmo noi perduti?  
                    Senza l'amore. 
                  III 
                  Chi   dunque             ci ha generato?  
                    L'amore.  
                    Perché ci hanno nutriti?  
                    Per amore.  
                    Che cosa dobbiamo ai genitori?  
                    L'amore.  
                    Perché essi hanno tanta pazienza?  
                    Per amore.  
                  IV  
                  Chi è               vincitore?  
                    L'amore.  
                    Come si può trovare l'amore?  
                    Con l'amore.  
                    Quando si vede l'opera buona?  
                    Nell'amore.  
                    Chi può ancora unire due?  
                    L'amore.  
                  V  
                  Ora   cantate             tutti  
                    E fate risuonare il canto  
                    Per glorificare l'amore.  
                    Che si accresca presso i nostri Signori  
                    Il Re e la Regina.  
                    I loro corpi sono qui, l'anima è là.  
   
                    VI 
                  Se   noi viviamo             ancora 
                    Dio accorderà che, come l'amore e la grande grazia 
                    Li hanno separati con grande forza, 
                    Così attraverso la fiamma dell'amore 
                    Noi li riuniremo di nuovo con felicità.  
   
                    VII  
   
                    Questo dolore sarà trasformato eternamente  
                    In grande gioia  
                    Anche se passeranno migliaia d'anni.  
                   
                   Ascoltando             questo canto melodioso, non mi sorprese che Ulisse avesse   tappato le             orecchie dei suoi compagni. Pensavo di essere il più   miserabile             degli uomini, perché la natura non aveva fatto di me una   creatura             così adorabile. Ma ben presto la Vergine si congedò e             diede ordine di continuare il viaggio. Le ninfe ruppero il   cerchio e             si sparsero nel mare dopo aver ricevuto come dono un lungo   nastro rosso.             In questo momento io sentii che Cupido cominciava ad operare   anche in             me, cosa che non mi faceva affatto onore; ma, poiché in ogni             modo le mie bugie non possono servire al lettore, voglio   notarlo. Ciò             rispondeva perfettamente alla ferita che avevo ricevuto alla   testa nel             sogno del primo giorno; e se qualcuno vuole un buon consiglio,   deve             evitare il letto di Venere, perché Cupido non può soffrire             questo fatto.  
                     
                    Dopo parecchie ore, quando avevamo coperto una lunga strada,   parlando             amichevolmente fra di noi, diventò visibile la Torre   dell'Olimpo.             La Vergine ordinò dunque di fare diversi segnali per   annunciare             il nostro arrivo. Subito vedemmo apparire una grande bandiera   bianca             e ci venne incontro un piccolo vascello d'oro. Quando stava   per accostarci,             distinguemmo un vegliardo circondato da alcuni servi vestiti   di bianco;             ci fece accoglienza amichevole e ci condusse alla Torre. 
                    La Torre era costruita su di un'isola perfettamente quadrata e   circondata             da un muro tanto solido e spesso che io contai   duecentosessanta passi             nel traversarlo. Dietro a questa cinta si stendeva un bel   prato con             molti gradini dove crescevano frutti strani che mi erano   sconosciuti;             poi c'era un muro che proteggeva la Torre. Quest'ultima in se   stessa             sembrava formata dalla giustapposizione di sette torri   rotonde; quella             in centro era un po' più elevata. All'interno esse si   interpenetravano             l'una con l'altra e c'erano sette piani sovrapposti. Quando   raggiungemmo             la porta, ci si condusse sul muro, in modo che, come mi   accorsi benissimo,             si potevano portare le bare nella Torre a nostra insaputa, ma i   miei             compagni lo ignoravano. Dopodiché, ci condussero nel piano   inferiore             della Torre. Qui c'era una sala decorata con arte, ma vi   trovammo poche             distrazioni perché non era altro che un laboratorio. Lì             dovemmo pestare e lavare erbe, pietre preziose e diverse   materie per             estrarne il succo e l'essenza e riempirne delle fiale di vetro   che venivano             messe da parte con cura. 
                     
                    La nostra Vergine era così attiva e abile che non ci lasciava             senza lavoro. Noi avremmo dovuto lavorare assiduamente e senza   sosta             in quest'isola finché avessimo terminato i preparativi per   rivivificare             i corpi decapitati. Durante questo tempo - come venni a sapere   dopo             - le tre vergini erano nella prima sala e lavavano con cura i   cadaveri.             Finalmente, quando avevamo quasi finito queste preparazioni,   ci venne             portato come unico pasto una zuppa e un po' di vino, per cui   mi accorsi             che non eravamo lì per nostro divertimento; e quando avemmo   terminato             il nostro compito per quel giorno, ci dovemmo accontentare di   una coperta             che venne stesa al suolo per ognuno di noi. 
                     
                    Da parte mia il sonno non mi attirava; camminai dunque nel   giardino,             e mi avvicinai fino al muro; e poiché il cielo era terso,   passai             il tempo a osservare le stelle. Scoprii per caso degli alti   gradini             di pietra che conducevano sul muro e poiché la Luna brillava             così chiaramente, diventai tanto audace, che salii e mi   guardai             un po' intorno sul mare, che era tutto tranquillo. Siccome   avevo una             buona occasione per meditare sull'astronomia, scoprii che   quella notte             stessa ci sarebbe stata una congiunzione dei pianeti tale che   non si             sarebbe ripetuta che dopo molto tempo. 
                     
                    Osservai così a lungo il cielo al di sopra del mare, che,   quando             suonò mezzanotte, vidi le sette fiamme arrivare dal mare e   posarsi             sulla cima della Torre; io fui preso della paura perché quando               le fiamme si posarono, il vento si levò e si mise a scuotere             il mare. Poi la Luna si coprì di nubi e la mia gioia finì             in un tale spavento che riuscii a malapena a ritrovare la   scala di pietra             e ritornare giù nella Torre. Non posso dire se le fiamme   rimasero             molto tempo o se ripartirono, perché non osavo uscire in un   tale             buio. Così,mi stesi sulla coperta e mi addormentai facilmente             al mormorio calmo, costante e piacevole della fontana del   nostro laboratorio. 
                     
                    Così questo quinto giorno terminò ugualmente in un modo             meraviglioso. 
   
                   
                   
                   
                   
                      
                     
                    Sesto Giorno 
                    
                       
                         
                  
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